Gastronomia spagnola, tapas e molto altro.

Una meta per le vostre vacanze autunnali o già pensando ai primi mesi della primavera? ImmersioneinCucina consiglia la Spagna.

Il Paese iberico è l’ideale per le stagioni di mezzo, sia che vogliate vogliate dirigervi nella parte settentrionale che meriodonale. Il clima è piacevole, non è ancora alta stagione e le città non sono ancora affollate di turisti.

Agli autori di questo food blog la Spagna -e in particolare l’Andalusia- è rimasto nel cuore poiché destinazione in gioventù di un lungo periodo di studio ma in questi anni non vi abbiamo mai raccontato della sua eccellente gastronomia. Cogliamo l’occasione di un viaggio per rimediare, tutto all’insegna della ricerca gastronomica che come sempre con contraddistingue il nostro girovagare.

GASTRONOMIA SPAGNOLA: MADRID, LE SPECIALITA’ DA NON PERDERVI

Se avete l’occasione di visitare la capitale del Paese non fatevi confondere dal mare della svariata offerta gastronomica della capitale spagnola, che va dal cibo etnico alle cucine regionali del Paese e provate almeno una volta le seguenti specialità gastronomiche della città:

  1.  Jamon Iberico e Serrano
  2. Tortilla de papas

Il prosciutto spagnolo (1) è famoso nel mondo e a Madrid si ha l’occasione di degustare in vari modi i migliori jamon (prosciutto) del Paese. Anche grazie al circuito del museo del jamon, organizzazione che mette insieme i negozi alimentari tipici della città.

Nelle via del centro città è facile incontrane e hanno un inconfondibile e squisitamente aria madrilena. Anche chi conoscesse poco la cultura spagnola, li riconoscerà dalla esposizione in bella vista di “gambe” intere di prosciutto.

In queste attività commerciale -a metà tra luoghi di degustazione e spazi di vendità al dettaglio- si può consumare un piattino alla veloce di prosciutto, salame spagnolo (chorizo iberico) o di formaggio della vicina Mancha (queso manchego) e altre specialità spagnole a pochi euro accompagnato dalla cerverza (birra) in un ambiente molto tipico frequentato anche da madrileni.

Due i prodotti di eccellenza, il Jamon Iberico (o Pata Negra) e il jamon Serrano (o prosciutto di montagna). Sono entrambi prodotti di origine controllata, la differenza è che il primo per essere chiamato così deve essere prodotto con almeno il 50% di carne di maiale della razza nera iberica mentre il secondo è un alimento ottenuto dalla salatura e seccatura degli arti posteriori della razza bianca.

Gastronomia spagnola, esempio di menu di un negozio del circuito Museo del Jamon.
Gastronomia spagnola, esempio di menu di un negozio del circuito Museo del Jamon.


La tortilla de papas (2) è uno dei piatti simbolodella cucina spagnola è la famosa tortilla di patate, la potete trovare dovunque e in tante varianti in tutto il Paese.

ImmersioneinCucina è andata in un locale rinomato per le sue tortillas de papas a Madrid -nel quartiere di Chamberi-, las tortillas de Gabino  proprio per provare la specialità del locale. 

Se ne mangiano tante in Spagna di tortillas de papas, ne abbiamo assaggiato ma quelle di Gabino ci hanno veramente stregato: morbide, gustose e per niente asciutte.

Gastronomia spagnola, la tortilla
Gastronomia spagnola by ImmersioneinCucina, la tortilla

NEL CUORE DELLA MANCHA: SUA MAESTA’ IL FORMAGGIO MANCHEGO.

La Mancha è il cuore della produzione del formaggio spagnolo più famoso nel mondo, il manchego.
Questo formaggio ovino è un prodotto di denominazione protetta che assumere questo nome deve essere prodotto esclusivamente nelle province di Ciudad Real, Albacete, Cuenca e appunto Toledo -capoluogo della Mancha-.
Per riconoscere un vero manchego di denominazione protetta, si deve cercare sul prodotto un particolare simbolo, quello nella foto. E’ questo il disegno che contraddistringue il formaggio prodotto nella Mancha secondo le regole del disciplinare apposito.

Gastronomia spagnola by ImmersioneinCucina, etichetta denominazione protetta Manchego
Gastronomia spagnola by ImmersioneinCucina, etichetta denominazione protetta Manchego

GASTRONOMIA SPAGNOLA: L’ANDALUSIA, LA REGINA DELLE TAPAS!

A Sevilla -capoluogo della Andalusia- ci si perde tra i tanti bar di tapas. La vita scorre leggera tra una caña -un bicchiere di birra- un tinto de verano -vino e gazzosa- e una tapas -piccoli piatti con assaggi di cibo tradizionale- per tutti i gusti e portafogli.

E se non soddisfa la pancia l’assaggio, spesso nelle taperie c’è la possibilità di ordinare le stesse tapas in piatti più abbondanti trasformandole in 1/2 porzioni o di porzioni intere.

le tapas andaluz più caratteristiche

  1. Croquetas
  2. Gazpacho e Salmorejo
  3. Boquerones fritos
  4. Aceitunas aliñadas 
  5. Churros
Gastronomia spagnola by ImmersioneinCucina, tapas andaluz
Gastronomia spagnola by ImmersioneinCucina, tapas andaluz

Las croquetas (1) sono una vera golosità, si trovano dovunque e finirete per diventarne dipendenti. Ci sono molte varianti offerte ma le classiche e principali sono di jamon iberico, besciamellae di merluzzo. Consigliamo di cercare quelle artigianali, fatte sul momento

Il gazpacho e salmorejo (2) sono due preparazioni simili, la differenza sta nella quantità di pane maggiore che è all’interno nella seconda. Essenzialmente sono due zuppe tradizionali a base di verdura cruda che si può trovare anche come bevanda, sono molto dissetanti, piacevoli con il caldo che contraddistingue l’Andalusia.

Se volete provare a preparalo da voi ImmersioneinCucina vi fornisce la ricetta del gazpacho da preparare in casa.

Los boquerones fritos (3) sono un piatto molto tipico della cucina spagnola, diffuso specialmente in Andalusia. Sono acciughe fritte o al forno ma si può trovare anche la versione del piatto con il merluzzo.

Le olive come olio che se ne ricava sono un prodotto andaluso da secoli ed è proprio per questo che dove c’è cibo ci sono anche las aceitunas. Spesso si trovano condite, in spagnolo aceitunas aliñadas (4), con spezie e con verdure o ripiene piccanti. Non potete fare a meno di mangiarle ogni volta che vi sedete a tavola!

In Andalusia non  potete andare via senza aver assaggiato i churros (5), pastella dolce fritta da gustare con la cioccolata. Molti bar li hanno precotti e standard, quelli fatti sul momento hanno un apposita macchina, spesso si vendono per strada e si comprano al kilo, mezzo o un quarto.  

GASTRONOMIA SPAGNOLA, I MERCATI ALIMENTARI

Una menzione speciale la vogliamo dedicare ai mercati della Spagna, dove si celebra un vero e proprio amore per la gastronomia locale.

In particolare due hanno attirato la nostra attenzione durante il nostro viaggio.
Il Mercado de San Miguel a Madrid e Mercado Lonja del Barranco a Sevilla. Come nel caso del più famoso Mercat de la Boqueria a Barcellonasono luoghi pieni di vita, colori, gusti e profumi. Ogni angolo sprigiona la vera essenza della Spagna: la fiesta!
Questi posti sono veri e propri luoghi di aggregazione, frequentati a tutte le ore, non rinunciano all’offerta gourmet ma sanno attrarre anche i locali  con prezzi equi, dove si ci si rilassa tra una tapa pincho (stuzzichino).

C’è luogo famoso nel mondo in Andalusia per i suoi vini e brandy,  Jerez della Frontera,  qui si trovano le cantine secolari ancora in attività e visitabili… ma questa è un altra storia di cui vi racconteremo nelle prossime puntate!

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Pan dei Morti, celebrare i nostri cari con un dolcetto.

Tempo fa ImmersioneinCucina, in collaborazione con il blog Spadelliamo, vi aveva parlato della festa tradizionale latinoamericana de el dia de los muertos . Oggi ritorniamo sull’argomento per fornirvi la versione italiana del pan dei morti.

La preparazione del pan dei morti è legata al mondo agricolo e contadina europeo. Pare che in origine veniva prodotto dalle popolazioni dell’antica grecia come offerta alla dea del grano –Demetra– per far si che ci fosse un buon raccolto.

Nel corso dei secoli preparazioni di questo tipo si legarono alla celebrazione dei defunti, poiché anticamente era credenza diffusa che le loro anime tornassero nelle case in cui avevano vissuto una volta all’anno: la notte tra il 31 Ottobre e l’1 Novembre.

Il pan dei morti è stato introdotto dai conquistatori spagnoli tra la popolazione nell’area meso-americana e attraverso i secoli si è diffusa in buona parte del mondo latinoamericano. Questo è stato possibile perché già vi era un antica tradizione popolare legata alla concezione della morte della culture pre-ispaniche che vedevano la morte dei propri cari come occasione di celebrazione della loro memoria in positivo e venerazione dei loro spiriti.

Anche in alcuni territori della nostra penisola italiana si è sviluppata questa tradizione che ha portato all’elaborazione di dolcetti tipici -in Liguria vengono confezionati in provincia di Savona-, per l’occasione tra cui il pan dei morti o ossa dei morti.

Ogni zona ha il suo ma hanno tutti un comun denominatore, simile preparazione di semplice realizzazione basata su pochi ingredienti.

PAN DEI MORTI, CHE INGREDIENTI USARE? per circa 15\20 biscotti

  1. 250 grammi biscotti secchi
  2. 200 grammi farina
  3. 100 grammi zucchero
  4. 50 grammi nocciole
  5. 50 grammi mandorle
  6. 3\4 fichi secchi
  7. 2 cucchiai di cacao in polvere
  8. 1 cucchiaio di lievito per dolci
  9. 3 albumi
  10. Vino dolce o passito q.b

Al composto realizzato con gli ingredienti base ci si può aggregare anche l’uva passa o anche altra frutta secca come noci o pinoli a vostro piacimento e fantasia.

Pan dei morti by ImmersioneinCucina
Pan dei morti by ImmersioneinCucina

PAN DEI MORTI, COME SI FA?

  1. Tritare con il minipimer (mixer) i biscotti, le mandorle, le nocciole e i fichi.
  2. Aggiungete ai biscotti la farina settacciata, il lievito, lo zucchero, il cacao e la frutta secca. Mescolare il tutto.
  3. Incorporare al preparato gli albumi, mescolate e per ultimo inseriere poco alla volta il vino finché non risulti un impasto compatto ma non appiccicoso.
  4. Formate dei biscotti a forma di uovo allungato, inciderli con una X e disporli in teglia su carta da forno.
  5. Fare cuocere a forno previamente riscaldato a 180° gradi per circa 30 minuti
  6. Una volta sfornati e raffreddati sono pronti da consumare. Prima di servire il vostro pan dei morti cospargere di zucchero a velo.

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Puglia, terra dai mille sapori!

Non avete ancora programmato le vacanze? Non avete ancora le idee chiare su quale metà prediligere? ImmersioneinCucina vi consiglia il tacco dello stivale della penisola italiana, la Puglia: terra dai mille sapori!

PUGLIA, VIAGGIO ON THE ROAD

Abbiamo fatto questo viaggio seguendo la nostra filosofia slow: percorrendo i ben 250 km che separano il capoluogo regionale Bari da Porto Cesareo, attravarso la valle d’Itria, Ostuni per poi proseguire verso il Salento -Lecce-Otranto, Castro, Santa Maria di Leuca e Gallipoli- esclusivamente con i mezzi pubblici.  

I nostri viaggi, come sapete, non sono mai individuati a caso, sono anche frutto di un’attenta ricerca gastronomica

La Puglia è famosa per la sua tradizione gastronomica che affonda le radici nei prodotti mediterranei. E’ una cucina che fa largo uso di olio, olive, pomodori cerali e legumi. La chiave della sua bontà è nella sua semplicità e genuinità.

PUGLIA, LE SPECIALITA’ DA NON PERDERE.

Dovunque abbiamo trovato il tarallo, ogni zona ha il suo. Quello barese è forse il più conosciuto, poiché il più esportato sul mercato nazionale e internazionale, quello del salento ha gusti più saporiti, quasi piccanti. 

La Puglia è una delle regioni italiane che produce olio pregiato, un prodotto tipicamente forte e deciso da provare semplicemente con il pane per assaporarne tutta la sua bontà ma ottimo anche sulla pasta! Non ritornate a casa senza una bottiglia!

Oltre questo patrimoni regionali, non si può venir via dalla Puglia senza aver assaggiato una serie di piatti tradizionali:

  1. le orecchiette con le cime di rapa o in estate, con la salsa di pomodoro fresca e ricotta dura;
  2. la tiella barese -parente diretta della paella spagnola- ha come ingredienti principali patate e cozze oltre che riso;
  3. la focaccia barese, nella sua versione più tipica viene condita con patate lesse, sale, olio extravergine d’oliva, pomodotrini freschi e olive baresane.
  4. La frisella con le sue mille varianti, il miglior modo di provarla è nella sua forma più classica con olio, sale e pomodori.
  5. ll panzerotto, una mezzaluna preparata con farina lievito e olio, ripiena di pomodoro e mozzarella fritta o al forno.

Poi c’è tutto il mondo dei latticini, almeno un assaggio alla mozzarella di bufala locale, la burrata e il caciocavallo è d’obbligo. Il miglior modo per provare queste delizie è andare in una masseria, sparse in tutta la regione.

In questi luoghi potrete facilmente assistere a una dimostrazione di come si producono le meraviglie del caseifico e assaggiare i prodotti fresci dalle mani del massaro!

Puglia, la terra dai mille sapori by ImmersioneinCucina, il rustico di pasticcieria.
il rustico leccese di pasticcieria by ImmersioneinCucina,

IL SALENTO TERRA DI STREET FOOD e CROSTACEI

I re dello street food si trovano in Salento e sono il rustico e il pasticciotto.

Il miglior posto dove provarli è sicuramente la città di Lecce, la Firenze del sud, a pranzo o per merenda è sempre un accoppiata vincente. Sono due prodotti da forno, il primo è una fagottino di pasta sfoglia ripieno di mozzarella, besciamella, pomodoro, pepe e noce moscata. Una vera droga per gli amanti del salato!

Il pasticciotto lo abbiamo trovato in tutto il Salento in versioni diverse e dalla paternità contesa, il classico di questo dolcetto composto di pasta frolla è con il ripieno di crema pasticciera. Diffidate delle imitazioni industriali che si sono sviluppate, per non sbagliare andate nelle pasticcerie o nelle gelaterie artigianali a mangiarlo!

la scapece, piatto tradizionale del Salento by ImmersioneinCucina,
la scapece, piatto tradizionale del Salento by ImmersioneinCucina,

Nel Salento, non potete perdervi una portata di crostacei e molluschi crudi e freschi, una tradizione di queste zone con u buon vino bianco locale. Ottimo il Verdeca!

A Gallipoli siamo andati alla ricerca di un’antica specialità locale, non facile da trovare oggi giorno: la scapece. Dopo tanto cercare l’abbiamo trovata in una piccola friggitoria nel centro storico.
Questa pietanza ha una storia davvero affascinante, si narra che i gallipolini si inventarono questa preparazione, a base di pesce fritto e marinato in molliche di pane impregnate di aceto e zafferano, aceto e pesce, per scongiurare la fame durante i tanti assedi stranieri della città.

PUGLIA, TOP 10 OSTERIE E RISTORANTI

  1. La Uascezze, Bari (Vico S. Agostino 2-3-4), famosa tappa enogastronomica barese.
  2. Osteria delle Travi “il buco” , Bari (Largo Chiurlia, 12). Una delle più vecchie e famose osterie della città. Ubicata in piena Bari vecchia, dalla fondazione -più di un secolo fa- questo locale non ha cambiato aspetto ed è sempre gestito dalla stessa famiglia. Non lasciatevi spaventare dall’aspetto un pò logorato e dall’atmosfera semplice e casalinga, l’esperienza gastronomica vi ricompenserà!
  3. L’Aratro, Alberobello (via Monte S.Michele, 25-29). Osteria Slow Food che vanta la chiocciola. L’attenzione massima per le materie prime più la magia dei trulli di cui è attorniamo fanno di questo posto un’esperienza fantastica.
  4. La Cantina, Alberobello (Vico Lippolis, 8), in questa osteria segnalata dalla guida Slow Food avrete la possibilità di seguire la preparazione diretta dei piatti strettamente del territorio grazie alla cucina a vista.
  5. Cibus, Ceglie Messapica (Via Chianche di Scarano,7). Osteria Slow Food che vanta la chiocciola in particolare per il vino e formaggio. Se siete nei dintorni vale la deviazione. Un monumento alla gastronomia pugliese. Qui si fa dei prodotti locali una vera e propria religione.
  6. Osteria del tempo perso, Ostuni (via G. Tanzarella Vitale, 47). In pieno centro storico della città, locale suggestivo ricavato in un vecchio forno del 500. Cucina tradizionale locale.
  7. Osteria da Anguino, Lecce (via dei principi di Savoia,24) tempio del cibo popolare.
  8. Cucina casereccia – le zie, Lecce (via Costadura,19 tel. 0832245178). Questa trattoria fa della identità pugliese e della cultura gastronomia locale un vanto. Senza troppe modernità (non ha sito internet ad esempio) prepara ogni giorno piatti di cucina casalingacon materie prime fresche di giornata e genuine.
  9. L’altro Baffo, Otranto (Via Cenobio Basiliano, 23). Ristorante di pesce di cucina salentina segnalato dalla Guida de L’Espresso.
  10. Il Pettolino, Gallipoli (Riviera Nazario Sauro, 57). Ristorante dello Chef Vito Gaballo stella emergente del panorama gastronomico italiano allievo di Marchesi.

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Lo spumante di Alta Langa

Con l’occasione dell’avvicinarsi delle feste di fine anno ImmersioneinCucina torna a raccontarvi di un territorio che ha fatto dell’enogastronomia il suo fiore all’occhiello, le Langhe per parlarvi della produzione dello spumante prodotto in questo territorio.

Le bollicine di questa zona hanno una storia antica che risale ufficialmente al 1848, quando Carlo Gancia  produce il primo prodotto di questo tipo da uve moscato piemontesi utilizzando le tecniche di lavorazione del metodo francese champenoise che aveva appreso in Francia anni prima.  L’azienda Gancia, che ancor oggi è sul mercato dopo quasi due secoli, chiamò questo prodotto appunto spumante italiano.

LE BOLLICINE DELLE LANGHE.

Dall’inizio del Novecento, la produzione di spumante con il metodo classico piemontese si sviluppò grazie alle case storiche dell’epoca, prodotto ininterrottamente fino ad oggi.

Nel 2001 nasce il Consorzio Alta Langa, ad oggi formato da 125 soci, 90 viticoltori, 35 case di produzione e 62 etichette.  Grazie al suo ruolo non solo tutela le cuveé (termine tecnico che sta a definire gli champagne di pregio) più rinomate ma tutela anche le famiglie di viticolturi, le tradizioni e il presidio del territorio locale.

Nel 2011 l’Alta Langa ottiene la Denominazione di Origine Controllata e Garantita (DOCG), denominazione riservata ai vini spumanti rifermentati in bottiglia, ottenuti esclusivamente da uve provenienti da vitigni di Pinot nero e/o Chardonnay dal 90 al 100% situati nella fascia collinare piemontese all’interno delle province di Cuneo, Asti e Alessandria.

I prodotti Alta Langa DOCG sono esclusivamente millesimati, ovvero confezionati con i vini di una sola vendemmia.

LE CATTEDRALI SOTTERRANEE DELLO SPUMANTE DI CANELLI

Fin dalla metà dell’Ottocento in queste cantine storiche, -ubicate nel sottosuolo nella città di Canelli  e che abbiamo avuto modo di vedere con i nostri occhi-  si è iniziato a produrre lo spumante in purezza dalle uve sopraindicate con lunghissimi tempi di affinamento.

Queste strutture -dichiarate Patrimonio Mondiale dell’umanità Unesco. – sono conosciute con il nome di cattedrali dello spumante proprio per gli ambienti sterminati e suggestivi, veri e propri capolavori di ingegneria.

Esse sono state scavate nel tufo nei secoli passati, scendono in profondità nel sottosuolo attraversando l’intera cittadina per oltre 20 km. Qui riposano ancor oggi migliaia di bottiglie di vino pregiato, lasciate a fermentare alla temperatura di 15-18 gradi per oltre 30 mesi. Con il tempo il liquido imbottigliato assume gli aromi e i sapori ticipi dello spumante.

Lo spumante di Alta Langa. Le Cattedrali sotteranee dello spumante, cantine di Contratto site in Canelli.
Lo spumante di Alta Langa. Le Cattedrali sotteranee dello spumante, cantine di Contratto site in Canelli.

SPUMANTE, LE FASI DEL METODO CLASSICO

In questi templi dell’enologia si procede alla lavorazione dello spumante che prende il nome di metodo classico. Andiamo ad analizzare le sue fasi.

  • Dopo che le uve vengono raccolte a mano con vendemmia precoce per mantenere il buon grado di acidità vengono vinificate e fermentate producendo un vino molto acido e di scarsa alcolicità.
  • Segue la fase di miscelazione con i vini millesimati, l’imbottigliamento di essi con aggiunta di lieviti e zuccheri per innescare la fermentazione.
  • Tramite la seconda fermentazione in bottiglia il vino acquisisce la tradizionale pressione visibile sotto forma di bollicine, ovvero l’anidride carbonica che rimane intrappolata nel liquido. 
  • Dopo un periodo di riposo nelle cantine, avviene il vero e proprio periodo di affinamento: le bottiglie sono disposte su appositi cavalletti che mantengono il collo della bottiglia in una specifica posizione all’ingiù che fa depositare i lieviti esausti all’interno sul tappo.
  • L’ultima fase della lavorazione è la sboccatura, il congelamento dei colli delle bottiglie con liquido refrigerante a -30° e la conseguente espulsione del tappo in modo che esca il sedimento.
  • A questo punto lo spumante viene rabboccato con uno sciroppo di vino e zucchero, conosciuto  anche  come liqueur d’expedition. Questa miscela è un vero e proprio ingrediente segreto della casa, ogni azienda ne ha uno suo specifico con il quale caratterizza l’unicità dei suoi prodotti.

COME RICONOSCERE LE VARIE TIPOLOGIE DI SPUMANTE

In generale la quantità di zucchero del composto o la sua assenza  determina le tipologia commerciale dello spumante con le seguenti sette denominazioni:

  1. dolce o doux, in cui la dolcezza è predominante.
  2. Demi-sec, dalla dolcezza nettamente percepibile.
  3. Dry o Sec, dalla dolcezza poco percepibile.
  4. Extra dry, dal gusto secco con una lieve nota dolce.
  5. Brut, secco.
  6. Extra brut, molto secco. 
  7. Pas dosé o dosaggio zero, ultra secco con solo la dolcezza originaria dell’uva. 

In questo contesto, seppur non amanti del prodotto in sé, le bollicine di Contratto -un’azienda che produce spumanti di qualità fin dal lontano 1867 con uva moscato senza particolari conservanti chimici nella produzione- ci ha conquistati.  Consigliamo in particolare l’assaggio del loro Cuveè Novecento, For England Rosè extra brut e Blanc de Blanc Pas dosé .

Spumante di Alta Langa, riproduzione di un vecchio cartellone pubblicitario di Contratto
Spumante di Alta Langa, riproduzione di un vecchio cartellone pubblicitario di Contratto

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VIAGGIO ENOGASTRONOMICO NELLE LANGHE

ImmersioneinCucina vi porta in viaggio nella regione piemontese delle Langhe-Roero, tra la provincia di Cuneo e Asti. Un territorio gioiello dell’eno-gastronomia oltre che paesaggistico conosciuto in tutto il mondo.

Da anni frequentiamo Bra e la vicina Alba per seguire la biennale manifestazione internazionale di Slow Food Cheese– ma non avevamo mai avuto l’opportunità di fermarci approfonditamente per visitare la zona e goderci le sue tipicità. Insomma sempre un mordi e fuggi di pochi giorni.

Questa volta ci siamo concessi una vera e propria immersione enogastronomica -chi il legge questo blog sa bene che caratterizza il nostro viaggiare per il mondo- anche approfittando dell’annuale Fiera Internazionale del tartufo d’Alba la quale si svolge proprio in questo periodo autunnale.

LE LANGHE, IL CUORE DEI VINI ROSSI DI PREGIO.

Alba -porta naturale delle Langhe- è un ottimo punto di partenza per le escursioni nei territori dei vini tra i più nobili vini italiani. Il paesaggio è costellato da castelli, chiese campestri e storiche cantine di aziende vinicole.

Qui si trovano i luoghi e i paesi natii vocati alla produzione dei grandi vini rossi piemontesi, primi tra tutti il Barolo e il Barbaresco ma anche del dolcetto di Dogliani, D’Alba e di Diano D’Alba e non va dimenticato la Barbera.

ENOLOGIA DELLE LANGHE, BAROLO E BARBARESCO

E’ bene sapere che il Barolo, così il Barbaresco, non è un vitigno ma è ottenuto dalla vinificazione in purezza da un unica varietà, l’uva Nebbiolo.

Per il primo le zone di produzione, determinate dal disciplinare della Denominazione di Origine Controllata e Garantita (DOCG), sono 11 e si trovano geograficamente attorno a Barolo paese e sono rispettivamente Castiglione Falletto, Serralunga d’Alba e parte del territorio comunale di La Morra, Monforte d’Alba, Roddi, Verduno, Cherasco, Diano d’Alba, Novello e Grinzane Cavour in provincia di Cuneo. 

Il vino Barolo ha un invecchiamento minimo di 38 mesi di cui 18. Devono essere trascorsi in botti di legno diversamente dal Barbaresco che ha un invecchiamento minimo più corto, 26 mesi di cui 9 in legno. 

Viaggio nell'enogastronomia delle Langhe, mappa dei cru del Barolo 
Viaggio nell’enogastronomia delle Langhe, mappa dei cru del Barolo 

Solo per i vini di Langa in Italia esiste una mappatura dei cru (zona delimitata che produce in esclusiva un determinato vino pregiato) più significativi che ha dato luogo, nel caso del Barolo, alla nascita di 181 Menzioni Geografiche Aggiuntive che rappresentano le specificità territoriali di zone particolarmente vocate alla produzione di questo vino mentre per il Barbaresco DOCG sono 69 cru suddivisi in 4 comuni, oltre Barbaresco paese, Neive, Treiso e la frazione di San Rocco Seno d’Elvio di Alba.

Ogni zona di produzione ha una sua espressione la quale dipende dalla conformazione geologica del terreno. Parlando di Barolo, troveremo tendenzialmente un vino più morbido e bevibile se ne scegliamo uno prodotto nelle zone di La Morra, Novello o Roddi mentre sarà più robusto se prodotto a Serralunga. Lo stesso con il Barbaresco o altri vini di pregio.

IL ROERO, ESPRESSIONE DELLA CUCINA TRADIZIONALE.

Da Bra -piccola capitale del Roero- si apre un territorio -che a differenza delle Langhe dai paesaggi più dolci- inaspettatamente selvaggio in un contesto agricolo, molto panoramico e coronato da borghi aggrappati sui crinali delle colline.

In questa zona si può degustare l’espressione vera di una cucina tradizionale con molta attenzione per i prodotti locali.

PRELIBATEZZE DA NON LASCIARSI SFUGGIRE.

La salsiccia di Bra

Tra questi da segnalare la particolare salsiccia di Bra, un prodotto preparato -a differenza delle altre suine- con carni di vitello che può fregiarsi di una concessione regia di Casa Savoia del 1847 la quale proibiva la produzione di salsicce bovine in tutto il territorio nazionale con l’eccezione di quella prodotta proprio a Bra dai macellai locali. 

La leggenda vuole che tale provvedimento fosse stato emesso a favore della forte comunità ebraica della vicina Cherasco che per ovvi motivi religiosi non poteva consumare la carne di maiale.

Oggi la salsiccia di Bra è preparata con la carne di vitello grasso di carne suino magra e l’aggiunta di pancetta di maiale. Deliziosa cruda, a Bra e nei dintorni si sono anche inventati un panino -il Mac’d Bra– nato dall’unione delle eccellenze gastronomiche locali: il Pane di Bra a lunga lievitazione, il formaggio d’alpeggio (Bra DOP), la lattuga proveniente dagli orti circostanti e appunto la salsiccia del territorio.

Viaggio nell'enogastronomia delle Langhe, Plin al tovagliolo 
Viaggio nell’enogastronomia delle Langhe, Plin al tovagliolo 

L’orgoglio delle Langhe, gli agnolotti del plin.

Come non menzionare anche la pasta fresca, in particolare i ravioli o agnolotti del plin -principi della tavola locale-. Fagottini ripieni di carni miste e verdure caratterizzati dal pizzicotto nel mezzo che conferisce loro la forma tipica arricciata. Serviti da ogni osteria e ristorante in tutte le salse: al sugo di arrosto, al burro d’alpeggio o semplicemente al tovagliolo per gustare al meglio il sapore del ripieno.

I formaggi

Non potete andar via da questi territori senza aver assaggiato i formaggi come il Raschera, il Bra, il  Murazzano e in particolare le tome piemontesi dalla pasta morbida, sapore morbito e aromi delicati. Prodotte in tutta la provincia di Cuneo.

Il miglior modo per conoscere e assaggiare gli splendidi e golosi formaggi della zona è ordinare una degustazione al ristorante. Spesso si trovano in bella vista in una espositiva, con tanto di nome delle varietà disponibili.

Viaggio nell'enogastronomia delle Langhe. Vetrina di formaggi piemontesi di degustazione
Viaggio nell’enogastronomia delle Langhe, vetrina di formaggi piemontesi di degustazione.

Non solo rosso, i vini bianchi del Roero

I territori del Roero producono anche vini bianchi come l’ottimo Arneis e il più leggero Favorita, parente diretto del vermentino ligure il quale vitigno molto probabilmente fu portato tra le valli del cuneese tramite l’antichissima Via del Sale che collegava la Liguria al Piemonte.

Esiste anche una leggenda su quest’ultimo vino, secondo la quale la denominazione deriverebbe dal fatto che fosse il vino preferito dalla bela Rosin, appunto la favorita del re Vittorio Emanuele II di casa Savoia.

Le Langhe-Roero, terra di noccioli.

La nocciola della varietà tonda gentile delle Langhe-Roero, sulla quale ha fatto la sua fortuna la casa dolciaria Ferrero, è famosa nel mondo per la sua bontà. Usata dai più grandi chef e pasticcieri piemontesi e di tutto il pianeta.

Un’altra specialità di queste parti è infatti Roero la gustosissima torta di nocciole, solitamente servita con zabaione artigianale.

L’ORO BIANCO DELLE LANGHE, IL TARTUFO.

La fiera internazionale del tartufo bianco, anche grazie alle sue iniziative di degustazione e conoscenza del prodotto, da modo di approfondire la conoscenza dell’oro bianco di Alba, ovvero il tuber magnatum.

Anzitutto è bene conoscere cos’è un tartufo. Non si tratta di una varietà di tubero, come potrebbe ingannare il nome latino, bensì di un fungo. Si riproduce sottoterra grazie alla diffusione delle sue spore in presenza di un particolare albero simbiotico -generalmente si tratta di alberi di quercia, pioppo, tiglio o nocciolo- che attraverso le sue radici nutre questa particolare varietà di fungo.

viaggio nell'enogastronomia delle Langhe, il re dei tartufi quello bianco d'Alba 
viaggio nell’enogastronomia delle Langhe, il re dei tartufi quello bianco d’Alba 

COME SCEGLIERE IL TARTUFO?

Il più pregiato tra i tartufi è proprio quello bianco di Alba, unico nel suo genere. Cresce solo in particolari zone della penisola italiana, non riproducibile attraverso coltivazioni apposite.

Se oltre a degustarlo al ristorante volete comprarlo per preparare da voi favolosi piatti nelle vostre case? Qualche consiglio derivato dall’esperienza di acquirenti di questo gioiello gastronomico.

  1.  La maturazione omogenea di un tartufo avviene quando la sua crescita si avvicina ai 20-30 grammi, non compratene misure inferiori.
  2.  Il profumo del tartufo in questione non deve essere eccessivamente intenso, al contrario è sinonimo di decomposizione del frutto. Il profumo di un buon tartufo deve avere i sentori di fungo fresco, cavolo, aglio, noce moscata e può capitare anche un leggero sentore speziato.
  3. Il colore, il tartufo che ha sensazioni olfattive negative tende ad essere scuro ma anche il colore troppo bianco non va bene poiché è sinonimo di spazzolatura. Tenete sempre in mente che il tartufo fresco ha sempre un leggero strato di terra, questo fa si che lo stesso continui a maturale e al contempo rallenti la proliferazione dei micro-organismi. 
  4. L’intregrità di un tartufo non è rilevante se non sull’aspetto visivo, anche se presenta delle spaccature non va a incidere sulla qualità.
  5. La conservazione del tartufo è essenziale. Il tartufo non deve essere messo sotto vuoto poiché ha bisogno di respirare per essere mantenuto nelle condizioni ideali, usate un contenitore ermetico di vetro. Il frutto deve essere avvolto nello scottex che va cambiato giornalmente e deve evitare il caldo, meglio conservarlo in frigorifero. Prendendo queste precauzioni può durare 2-3 giorni prima di utilizzarlo, al massimo una settimana.
  6. La pulizia. Il tartufo va pulito prima del suo utilizzo ma non va assolutamente bagnato direttamente con l’acqua. Procedete utilizzando uno spazzolino con cui andrete a spazzolare delicatamente la superfice del vostro tartufo per eliminare i residui di terra e aiutandovi con panno umido per i residui più ostici.
  7. L’utilizzo del tartufo in cucina va sempre abbinato a crudo, grattugiato sulle pietanze e con ingredienti dal gusto neutro e non troppo corposi tali da far esprimere al meglio il sapore e gli aromi inconfondibili di preziosa materia prima.  Ad esempio con delle tagliatelle fini con una crema di burro di qualità, il calore della pasta farà uscire tutti gli aromi del tartufo. Perfetto con le uova ma anche sopra un filetto di manzo o una fonduta di formaggio o se preferite a freddo con una tartare di carne. 

E’ bene affettare o grattugiare il tartufo direttamente nel piatto, poiché se lo si prepara prima perde aroma. Il miglior strumento per tagliare le scaglie di tartufo è l’apposito l’affetta tartufi ma può andar bene anche un coltello ben affilato e non umido o altrimenti  una grattugia a maglie larghe.

Viaggio nell'enogastronomia delle Langhe, tajerin al tartufo bianco di Alba.
Viaggio nell’enogastronomia delle Langhe, tajerin al tartufo bianco di Alba.

OSTERIE E RISTORANTI

Nelle settimane che siamo stati nelle Langhe-Roero oltre a degustare vini abbiamo approfittato anche dell’eccelente cucina della zona. Tra i tanti ristoranti e osterie che abbiamo frequentato in particolare ci sono rimaste impresse nella memoria le seguenti che vi consigliamo.

A BRA

  1.  Ristorante Battaglino, segnalato nella guida delle osterie Slow Food. Locale storico, ha appena superato i 100 anni di attività guidato dalla stessa famiglia. Cucina tradizionale piemontese.
  2. Osteria del Boccondivino, segnalata nella guida delle osterie Slow Food. Cucina tradizionale piemontese.
  3. Osteria Murivecchi, nell’affascinante antica cantina di famiglia dove si affinava il Barolo. Cucina tradizionale piemontese.

AD ALBA

  1.  Ristorante Larossa dello chef stellato omonimo, cucina basata sui prodotti locali con spunti creativi.
  2.  La Piola, segnalato nella giuda delle osterie Slow Food e della stessa proprietà del ristorante tri-stellato dello chef Enrico Crippa (che si trova al piano superiore dello stesso palazzo).
  3.  Osteria del Vicoletto, segnalato nella giuda delle osterie Slow Food, cucina tradizionale piemontese.
  4.  L’indedito Vigin Mudest, segnalato della guida Michelin. Cucina del territorio rivista in chiave moderna.
  5. Un chicca fuori città…. Osteria La Torre a Cherasco, segnalata sia sulla guida delle osterie Slow Food che sulla guida Michelin. Cucina tradizionale piemontese ma che sfiora quella stellata. Imperdibile! 

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ANTICO EGITTO A TAVOLA.

Vi siete mai chiesti cosa mangiavano nell’Antico Egitto? Quali erano le usanze e i prodotti consumati dalla popolazione? Andiamo tra le piege della storia a scoprirlo!

LA BASE DELL’ALIMENTAZIONE EGIZIA, IL PANE.

La principale attività economica dell’antico Egitto era la coltivazione dei cereali, favorita dalle annuali inondazioni del Nilo. Per questo la  base della cucina egizia era costituita dal pane.  Sebbene nelle classi più agiate si consumasse  una maggiore varietà e una maggiore quantità di cibi.

Antico Egitto a tavola, il pane elemento base della alimentazione egizia.
Antico Egitto a tavola, il pane elemento base della alimentazione egizia.

Si facevano diversi tipi di pane, si utilizzavano per la preparazione cereali quali l’orzo -il più diffuso- il frumento -riservato alle classi più abbienti- il farro, la spelta, il panico, il sorgo e i legumi ridotti in polvere.

Il lievito era sconoscito al popolo egizio e usavano al posto di questo l’avanzo della pasta del giorno precedente. Il pane veniva cotto nei forni di argilla o su lastre di pietra roventi.

LE BEVANDE NELL’ANTICO EGITTO.

La bevanda più economica e diffusa era indubbiamente l’acqua del Nilo.

La birra veniva ottenuta dalla fermentazione di pani d’orzo semicotti, imbevuti di liquore di datteri o vino di palma, lasciati poi a  fermentare e successivamente filtrati attraverso un setaccio. Era una birra non molto alcolica che veniva conservata in giare accuratamente tappate. Questo prodotto veniva chiamato anche pane liquido e aveva un valore particolare, tanto da essere utilizzato ome moneta di scambio.

Gli egizi onoscevano anche il vino ma era una bevanda molto meno diffusa della birra, consumato prevalentemente dalle élite .

Antico Egitto a tavola, l'uva da vino
Antico Egitto a tavola, l’uva da vino.

CONDIMENTI PER LA CUCINA

Il merhet, il grasso vegetale era molto diffuso nell’alimentazione dell’antico egitto come fondo di cottura. L’ olio d’oliva si consumava raramente, per il condimento e la frittura dei cibi si preferiva l’olio di bak (un olio tratto dalla noce di moringa) ma anche l’olio di semi di sesamo, di lino, di ricino o di ravanello.

Sul versante dei grassi animali, conosiuti con il nome adkh, gli egizi conoscevano e usavano il burro o il grasso d’oca.

Altri condimenti per la cucina erano il sale e alcune erbe aromatiche, come il ginepro, l’anice, il coriandolo, il cumino, il prezzemolo e il finocchio mentre  il pepe non era conosciuto perché fu importato solo in epoca romana.

IL CONSUMO DI CARNE E PESCE NELLA DIETA EGIZIA

Per quanto riguarda l’apporto proteico della dieta dell’antico Egitto si allevavano sopratutto pecore e capre che venivano usate anche per la produzione di latte e formaggio. Il pollo era sconosciuto tra gli egizi. Mentre il bovino era considerato un animale sacro, questo animale era esclusivamente utilizzato nel lavoro nei campi a scopo agricolo. Il maiale era considerato un animale dalle carni impure ma tra la popolazione condadina consumato abitualmente.

Antico Egitto a tavola, la caccia.
Antico Egitto a tavola, la caccia.

Molto praticata era la caccia ai volatili che venivano consumati soprattutto delle famiglie dei ceti più bassi: si  trattava soprattutto di piccioni, anatre, oche, gru e vari tipi di uccelli acquatici che  venivano cucinati prevalentemente arrostendoli sul fuoco e infilzandoli sugli spiedi.
Gli antichi egiziani  preferivano la carne lessata a quella arrostita. Con la carne lessata potevano infatti preparare gustosi  pasticci.

Il Nilo era molto pescoso all’epoca e offriva diverse qualità di pesce. Questo era il cibo più comune per chi non poteva permettersi quotidianamente la carne anche se la popolazione, cuoriosamente, preferiva di gran lunga la carne.
I pesci, dopo la cattura,  venivano aperti, puliti dalle interiora, appesi a seccare e infine posti sotto sale dentro grandi giare per la conservazione. Il pesce fresco era di solito arrostito  o lessato. Dalle uova dei muggini si ricavava  anche una specie di bottarga.

Bisogna ricordare che nella religione egizia molte divinità avevano l’aspetto di animali, nelle località dove veniva praticato il culto di queste divinità antropomorfe, era vietato il consumo di alcuni animali come cibo.

FRUTTA E VERDURA

Una parte importante dell’alimentazione era costituita dalla frutta, verdura e legumi.

Nei diffusissimi frutteti venivano coltivati il melograno, il fico, il tamarindo, l’anguria o cocomero, il melone e le palme da dattero. In partiolare i frutti di quest’ultima pianta venivano consumati freschi, essiccati o spremuti e fatti fermentare ottendendo il cosidetto vino da palma. Un succo liquoroso che veniva consumato da solo o aggiunto alla birra per aromatizzarla.

Molto apprezzata e raccolta era anche la frutta selvatica come le giuggiole, simili alle ciliegie, e le noci di palma dum mentre negli orti, anch’essi molto diffusi, si coltivavano numerose varietà di verdure, tra le quali aglio, sedano, cetrioli, cipolle, porri  e soprattutto venivano coltivati  ceci, fave e lenticchie, che erano elemento quotidiano dell’alimentazione degli antichi egiziani.

ANTICO EGITTO, TRE PASTI AL GIORNO

Nelle classi più agiate era usanza consumare tre pasti al giorno. La prima colazione era costituita da fave cotte e condite con olio e limone. A mezzoggiorno si consumava il pane con la carne oppure legumi e della frutta mentre la cena rappresentava il pasto principale.

Nell’ultimo pasto del giorno, il menù non cambiava molto rispetto al pranzo ma si consumava in famiglia, seduti in giardino o sotto una tenda.

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