I corzetti o croxetti – anche presidio Slow Food– sono un formato di pasta molto antica diffusa particolarmente nel Levente ligure e Provenza fin dal Medioevo.
In passato queste tipiche lasagnette tonde erano marchiate usando una moneta la quale si imprimeva sulla loro superfice. Nei casi di nobili casate invece si usava uno stampo apposito che arricchiva i corzetti preparati con segni araldici, disegni e scritte.
Esiste anche una seconda versione di corzetto tipica della zona genovese della Val Polcevera a forma di piccolo otto. Questi ultimi sono conosciuti anche come Corzetti della Valle. Se vi capita di trovarvi in zona potete trovarli dalla pasta fresca Madia di Renata Merloa Campomorone con tante altre sfiziosita locali.
Nelle aree rurali nella nostra Liguria si è sempre continuata la tradizione di prepare i corzetti a mano.
Da qualche anno -complice il maggior interesse sui prodotti enogastronomici tradizionali che il flusso turismo ha portato- la produzione di questa particolare pasta è stata rilanciata anche nella città di Genova.
Con uno sguardo attento è possibile scovarli nelle gastronomie del centro storico della città o trovarli nella proposta di alcuni ristoranti di cucina ligure. Si può gustarli con accompagnamento di pesto o salse di pesce, in particolare abbinati con il ragù di polpo.
lo stampo dei corzetti di ImmersioneinCucina
LO STAMPO DEI CORZETTI, STORIE DI ARTIGIANO.
Affascinati dalla storia dei corzetti ImmersioneinCucina è andata nel golfo Tigullo in cerca delle radici di questa tradizione. Con missione precisa: ottenere lo stampo per coniare i nostri corzetti personalizzati.
Con una ricerca informatica abbiamo individuato la piccola bottega artigiana di Franco Casoni a Chiavari.
L’artigiano in questione è una delle poche persone rimaste che intaglia ancora questo tipo di stampi. E da buon artigiano le sue opere hanno il pregio dell’unicità, sono pezzi unici. Abbiamo assistito direttamente alla creazione del nostro pezzo.
ImmersioneinCucina per il proprio stampo ha preso ispirazione dalle tradizioni delle antiche famiglie genovesi e abbiamo deciso di far incidere i nostri due nomi da una faccia e dall’altra un’ immagine della Lanterna -simbolo di Genova e del quartiere dove viviamo, Sampierdarena.
Dopo essere entrati in possesso dell’attrezzo, giorni dopo, lo abbiamo sperimentato facendo i corzetti in casa. Ma questa è un’ altra storia che presto vi racconteremo. Continuate a leggerci!
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Siete interessati ai nostri articoli alla scoperta di scelte virtuose che contribuiscono tutela della biodevidersità, delle tradizioni gastronomiche, piatti e ingredienti locali? Continuate la lettura sul tema tramite il tag o la ricerca all’interno del blog della parola chiave attività virtuose . Vi racconteremo il meglio di questo mondo!
La tradizionale festa della zucca nella frazione genovese di Murta, è una delle più importanti del nostro Paese e ImmersioneinCucina non poteva certo mancare a quest’evento gastronomico. L’intera manifestazione è dedicata a questa regina dell’autunno, simpatico vegetale arancione dalle mille biodiversità.
LA FESTA DELLA ZUCCA, UNA TRADIZIONE TUTTA GENOVESE
L’evento si tiene ogni anno nei primi due fine settimana di Novembre dal lontano 1987, con la sua prima edizione “Dall’ A alla Zucca” . Ogni anno ripropone un tema diverso legato a questo prodotto.
Il fulcro di questa festa è la mostra. Questa è una vera e propria competizione la quale vede la partecipazione di tutti i cultori e coltivatori liguri che portano i loro esemplari . Viene premiata la zucca in tutte le sue varianti più estrose: dalla più grossa a quella più lunga o strana. Il risultato della gara viene deciso direttamente dai visitatori mediante votazione. Questo rende la visita alla mostra più interattiva da parte dei suoi spettatori che possono così decidere le sorti della gara.
LA ZUCCA E LE SUE MILLE BIODIVERSITA’
La regina dell’autunno trova le sue origini esattamente come il pomodoro, le patate e il mais nel continente americano ed è ricca proprietà vitaminiche, fibre e antiossidante.
La zucca nelle sue infinite forme, colori e dimensioni è un perfetto esempio di biodiversità. L’obiettivo della mostra di Murta e dei vari stand gastronomici è proprio questo: mostrare la duttilità di questo vegetale e le infinite possibilità che offre il suo utilizzo in cucina. L’ortaggio offerto durante la manifestazione viene preparato in diversi modi, dalle frittelle alla pizza passando per la polenta e la pasta ripiena. Tutte queste preparazioni sono legate da un comune denominatore negli ingredienti: la zucca.
un esempio di biodeversità della zucca
LA RICETTA, CREMA DI ZUCCA CON SALSA GONGORZOLA E AMARETTI
Come è tradizione della festa vi forniamo una nostra preparazione, semplice e gustosa a base di zucca. Noi né abbiamo usato diverse varietà (vedi foto) per intensificare il gusto del piatto e quindi la buona riuscita dello stesso.
La caratteristica di questa ricetta è la cottura in forno, che toglie l’acqua in eccesso mantenendo il suo gusto e le sue proprietà.
Questa ricetta è multiuso, potete utilizzare la preparazione qui descritta anche per condiredella pasta, un risotto o degustarla semplicemente come crema.
CHE INGREDIENTI USARE? (circa 8 persone)
Per la crema di zucca
3 grosse zucche
olio q.b.
sale q.b.
Per la salsa di gongorzola
500 gr. gorgorzola
200 ml. latte
amaretti q.b.
Crema di zucca con salsa di gongorzola e amaretti di ImmersioneinCucina
COME SI FA?
Per la realizzazione della crema di zucca
Pulite la zucca e tagliata a spicchi, avvolta nella carta stagnola a 180 gradi per circa 30 minuti, finché diventa morbida.
Una volta cotta, va tolta la buccia e tenuta da parte la polpa, che va frullata e condita con sale e olio a crudo. Usate un olio leggero, per non coprire il gusto delicato e dolce della zucca.
Per la realizzazione della salsa di gongorzola
Portate ad ebollizione il latte.
Frullate il gorgonzola aggiungendoa poco a poco il latte caldo finché il preparato non diventi della consistenza giusta, né troppo liquida né troppo densa.
Impiattare e servire la crema di zucca versando la salsa di gongorzola e gli amaretti sbriciolati sopra alla stessa.
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ImmersioneinCucina vi porta in viaggio nella regione piemontese delle Langhe-Roero, tra la provincia di Cuneo e Asti. Un territorio gioiello dell’eno-gastronomia oltre che paesaggistico conosciuto in tutto il mondo.
Da anni frequentiamo Bra e la vicina Alba per seguire la biennale manifestazione internazionale di Slow FoodCheese– ma non avevamo mai avuto l’opportunità di fermarci approfonditamente per visitare la zona e goderci le sue tipicità. Insomma sempre un mordi e fuggi di pochi giorni.
Questa volta ci siamo concessi una vera e propria immersione enogastronomica -chi il legge questo blog sa bene che caratterizza il nostro viaggiare per il mondo- anche approfittando dell’annualeFiera Internazionale del tartufo d’Alba la quale si svolge proprio in questo periodo autunnale.
LE LANGHE, IL CUORE DEI VINI ROSSI DI PREGIO.
Alba -porta naturale delle Langhe- è un ottimo punto di partenza per le escursioni nei territori dei vini tra i più nobili vini italiani. Il paesaggio è costellato da castelli, chiese campestri e storiche cantine di aziende vinicole.
Qui si trovano i luoghi e i paesi natii vocati alla produzione dei grandi vini rossipiemontesi, primi tra tutti il Barolo e il Barbaresco ma anche del dolcetto di Dogliani, D’Alba e di Diano D’Alba e non va dimenticato la Barbera.
ENOLOGIA DELLE LANGHE, BAROLO E BARBARESCO
E’ bene sapere che il Barolo, così il Barbaresco, non è un vitigno ma è ottenuto dalla vinificazione in purezza da un unica varietà, l’uva Nebbiolo.
Per il primo le zone di produzione, determinate dal disciplinare della Denominazione di Origine Controllata e Garantita (DOCG), sono 11 e si trovano geograficamente attorno a Barolo paese e sono rispettivamente Castiglione Falletto, Serralunga d’Alba e parte del territorio comunale di La Morra, Monforte d’Alba, Roddi, Verduno, Cherasco, Diano d’Alba, Novello e Grinzane Cavour in provincia di Cuneo.
Il vino Barolo ha un invecchiamento minimo di 38 mesi di cui 18. Devono essere trascorsi in botti di legno diversamente dal Barbaresco che ha un invecchiamento minimo più corto, 26 mesi di cui 9 in legno.
Viaggio nell’enogastronomia delle Langhe, mappa dei cru del Barolo
Solo per i vini di Langa in Italia esiste una mappatura dei cru (zona delimitata che produce in esclusiva un determinato vino pregiato) più significativi che ha dato luogo, nel caso del Barolo, alla nascita di 181 Menzioni Geografiche Aggiuntive che rappresentano le specificità territoriali di zone particolarmente vocate alla produzione di questo vino mentre per il Barbaresco DOCG sono 69 cru suddivisi in 4 comuni, oltre Barbaresco paese, Neive, Treiso e la frazione di San Rocco Seno d’Elvio di Alba.
Ogni zona di produzione ha una sua espressione la quale dipende dalla conformazione geologica del terreno. Parlando di Barolo, troveremo tendenzialmente un vino più morbido e bevibile se ne scegliamo uno prodotto nelle zone di La Morra, Novello o Roddi mentre sarà più robusto se prodotto a Serralunga. Lo stesso con il Barbaresco o altri vini di pregio.
IL ROERO, ESPRESSIONE DELLA CUCINA TRADIZIONALE.
Da Bra -piccola capitale del Roero- si apre un territorio -che a differenza delle Langhe dai paesaggi più dolci- inaspettatamente selvaggio in un contesto agricolo, molto panoramico e coronato da borghi aggrappati sui crinali delle colline.
In questa zona si può degustare l’espressione vera di una cucina tradizionale con molta attenzione per i prodotti locali.
PRELIBATEZZE DA NON LASCIARSI SFUGGIRE.
La salsiccia di Bra
Tra questi da segnalare la particolare salsiccia di Bra, un prodotto preparato -a differenza delle altre suine- con carni di vitello che può fregiarsi di una concessione regia di Casa Savoia del 1847 la quale proibiva la produzione di salsicce bovine in tutto il territorio nazionale con l’eccezione di quella prodotta proprio a Bra dai macellai locali.
La leggenda vuole che tale provvedimento fosse stato emesso a favore della forte comunità ebraica della vicina Cherasco che per ovvi motivi religiosi non poteva consumare la carne di maiale.
Oggi la salsiccia di Bra è preparata con la carne di vitello grasso di carne suino magra e l’aggiunta di pancetta di maiale. Deliziosa cruda, a Bra e nei dintorni si sono anche inventati un panino -il Mac’d Bra– nato dall’unione delle eccellenze gastronomiche locali: il Pane di Bra a lunga lievitazione, il formaggio d’alpeggio (Bra DOP), la lattuga proveniente dagli orti circostanti e appunto la salsiccia del territorio.
Viaggio nell’enogastronomia delle Langhe, Plin al tovagliolo
L’orgoglio delle Langhe, gli agnolotti del plin.
Come non menzionare anche la pasta fresca, in particolare i ravioli o agnolotti del plin -principi della tavola locale-. Fagottini ripieni di carni miste e verdure caratterizzati dal pizzicotto nel mezzo che conferisce loro la forma tipica arricciata. Serviti da ogni osteria e ristorante in tutte le salse: al sugo di arrosto, al burro d’alpeggio o semplicemente al tovagliolo per gustare al meglio il sapore del ripieno.
I formaggi
Non potete andar via da questi territori senza aver assaggiato i formaggi come il Raschera, il Bra, il Murazzano e in particolare le tome piemontesi dalla pasta morbida, sapore morbito e aromi delicati. Prodotte in tutta la provincia di Cuneo.
Il miglior modo per conoscere e assaggiare gli splendidi e golosi formaggi della zona è ordinare una degustazione al ristorante. Spesso si trovano in bella vista in una espositiva, con tanto di nome delle varietà disponibili.
Viaggio nell’enogastronomia delle Langhe, vetrina di formaggi piemontesi di degustazione.
Non solo rosso, i vini bianchi del Roero
I territori del Roero producono anche vini bianchi come l’ottimo Arneis e il più leggero Favorita, parente diretto del vermentino ligure il quale vitigno molto probabilmente fu portato tra le valli del cuneese tramite l’antichissima Via del Sale che collegava la Liguria al Piemonte.
Esiste anche una leggenda su quest’ultimo vino, secondo la quale la denominazione deriverebbe dal fatto che fosse il vino preferito dalla bela Rosin, appunto la favorita del re Vittorio Emanuele II di casa Savoia.
Le Langhe-Roero, terra di noccioli.
La nocciola della varietà tonda gentile delle Langhe-Roero, sulla quale ha fatto la sua fortuna la casa dolciaria Ferrero, è famosa nel mondo per la sua bontà. Usata dai più grandi chef e pasticcieri piemontesi e di tutto il pianeta.
Un’altra specialità di queste parti è infatti Roero la gustosissima torta di nocciole, solitamente servita con zabaione artigianale.
L’ORO BIANCO DELLE LANGHE, IL TARTUFO.
La fiera internazionale del tartufo bianco, anche grazie alle sue iniziative di degustazione e conoscenza del prodotto, da modo di approfondire la conoscenza dell’oro bianco di Alba, ovvero il tuber magnatum.
Anzitutto è bene conoscere cos’è un tartufo. Non si tratta di una varietà di tubero, come potrebbe ingannare il nome latino, bensì di un fungo. Si riproduce sottoterra grazie alla diffusione delle sue spore in presenza di un particolare albero simbiotico -generalmente si tratta di alberi di quercia, pioppo, tiglio o nocciolo- che attraverso le sue radici nutre questa particolare varietà di fungo.
viaggio nell’enogastronomia delle Langhe, il re dei tartufi quello bianco d’Alba
COME SCEGLIERE IL TARTUFO?
Il più pregiato tra i tartufi è proprio quello bianco di Alba, unico nel suo genere. Cresce solo in particolari zone della penisola italiana, non riproducibile attraverso coltivazioni apposite.
Se oltre a degustarlo al ristorante volete comprarlo per preparare da voi favolosi piatti nelle vostre case? Qualche consiglio derivato dall’esperienza di acquirenti di questo gioiello gastronomico.
La maturazione omogenea di un tartufo avviene quando la sua crescita si avvicina ai 20-30 grammi, non compratene misure inferiori.
Il profumo del tartufo in questione non deve essere eccessivamente intenso, al contrario è sinonimo di decomposizione del frutto. Il profumo di un buon tartufo deve avere i sentori di fungo fresco, cavolo, aglio, noce moscata e può capitare anche un leggero sentore speziato.
Il colore, il tartufo che ha sensazioni olfattive negative tende ad essere scuro ma anche il colore troppo bianco non va bene poiché è sinonimo di spazzolatura. Tenete sempre in mente che il tartufo fresco ha sempre un leggero strato di terra, questo fa si che lo stesso continui a maturale e al contempo rallenti la proliferazione dei micro-organismi.
L’intregrità di un tartufo non è rilevante se non sull’aspetto visivo, anche se presenta delle spaccature non va a incidere sulla qualità.
La conservazione del tartufo è essenziale. Il tartufo non deve essere messo sotto vuoto poiché ha bisogno di respirare per essere mantenuto nelle condizioni ideali, usate un contenitore ermetico di vetro. Il frutto deve essere avvolto nello scottex che va cambiato giornalmente e deve evitare il caldo, meglio conservarlo in frigorifero. Prendendo queste precauzioni può durare 2-3 giorni prima di utilizzarlo, al massimo una settimana.
La pulizia. Il tartufo va pulito prima del suo utilizzo ma non va assolutamente bagnato direttamente con l’acqua. Procedete utilizzando uno spazzolino con cui andrete a spazzolare delicatamente la superfice del vostro tartufo per eliminare i residui di terra e aiutandovi con panno umido per i residui più ostici.
L’utilizzo del tartufo in cucina va sempre abbinato a crudo, grattugiato sulle pietanze e con ingredienti dal gusto neutro e non troppo corposi tali da far esprimere al meglio il sapore e gli aromi inconfondibili di preziosa materia prima. Ad esempio con delle tagliatelle fini con una crema di burro di qualità, il calore della pasta farà uscire tutti gli aromi del tartufo. Perfetto con le uova ma anche sopra un filetto di manzo o una fonduta di formaggio o se preferite a freddo con una tartare di carne.
E’ bene affettare o grattugiare il tartufo direttamente nel piatto, poiché se lo si prepara prima perde aroma. Il miglior strumento per tagliarele scaglie di tartufo è l’apposito l’affetta tartufi ma può andar bene anche un coltello ben affilato e non umido o altrimenti una grattugia a maglie larghe.
Viaggio nell’enogastronomia delle Langhe, tajerin al tartufo bianco di Alba.
OSTERIE E RISTORANTI
Nelle settimane che siamo stati nelle Langhe-Roero oltre a degustare vini abbiamo approfittato anche dell’eccelente cucina della zona. Tra i tanti ristoranti e osterie che abbiamo frequentato in particolare ci sono rimaste impresse nella memoria le seguenti che vi consigliamo.
A BRA
Ristorante Battaglino, segnalato nella guida delle osterie Slow Food. Locale storico, ha appena superato i 100 anni di attività guidato dalla stessa famiglia. Cucina tradizionale piemontese.
Osteria del Boccondivino, segnalata nella guida delle osterie Slow Food. Cucina tradizionale piemontese.
Osteria Murivecchi, nell’affascinante antica cantina di famiglia dove si affinava il Barolo. Cucina tradizionale piemontese.
AD ALBA
Ristorante Larossa dello chef stellato omonimo, cucina basata sui prodotti locali con spunti creativi.
La Piola, segnalato nella giuda delle osterie Slow Food e della stessa proprietà del ristorante tri-stellato dello chef Enrico Crippa (che si trova al piano superiore dello stesso palazzo).
Osteria del Vicoletto, segnalato nella giuda delle osterie Slow Food, cucina tradizionale piemontese.
L’indedito Vigin Mudest, segnalato della guida Michelin. Cucina del territorio rivista in chiave moderna.
Un chicca fuori città….Osteria La Torre a Cherasco, segnalata sia sulla guida delle osterie Slow Food che sulla guida Michelin. Cucina tradizionale piemontese ma che sfiora quella stellata. Imperdibile!
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Siete ancora indecisi sulla vostra meta per le vacanze? State progettando un fine settimana romantico o una gita con gli amici? ImmersioneinCucina vi propone Roma.
Non solo perché la città eterna è da sempre uno spettacolo da visitare ma anche perché, in questo periodo marcato dalla pandemia, si ha l’occasione irripetibile e unica di vedere la capitale con pochi turisti e quindi godersi a pieno il viaggio.
LA GASTRONOMIA ROMANA, LE SPECIALITA’ DA NON PERDERE.
I viaggi di ImmersioneinCucina non sono mai individuati a caso, sono improntati sulla ricerca gastronomica. Per noi è fondamentale conoscere, degustare nuovi sapori per affinare la nostra cucina.
La tradizione gastronomica romana è fondata su ingredienti semplici, poveri ma ricchi di sapori. Una cucina dalle radici contadine e rurali con marcata influenza abruzzese. Si fa gran uso del guanciale e pancetta di maiale , verdura, prodotti ovocaprini oltre che fritture.
Roma gastronomica, carciofi alla guidia.
Tra i piatti classici della cucina romana troviamo i carciofi alla Giudia e alla Romana, i saltibocca alla romana, l’abbiacchio, i fiori di zucca ripieni fritti. La cucina romana non è famosa per i suoi dolci, quelli della sua tradizione sono pochi e deliziosi, tra questi risaltano la torta alla ricotta e visciole (le amarene in dialetto), la “bomba” ovvero il maritozzo spesso ripieno di panna fresca e infine le ciambelline dei Castelli, da accompagnare con il vino. Tra i formaggi non si può non citare la ricotta fresca di pecora e il pecorino romano.
Imperdibile poi il poker di sughi della cucina romana per gli amanti della pasta: cacio e pepe -acqua di cottura, guanciale e pepe amalgamati ad arte- carbonara -uova di gallina, guanciale o pancetta, pepe e formaggio pecorino romano stagionato-, amatriciana – salsa di pomodoro, guanciale,pecorino- e la variante della amatriciana in bianco (ante scoperta dell’America) o gricia – stessi ingredienti senza pomodoro e con l’aggiunta di pepe.
Roma gastronomica, il poker di sughi della capitale: amatriciana, gricia, carbonara e cacio e pepe
Se avete coraggio gastronomico e stomaco forte vi consigliamo di assaggiare il repertorio di cucina povera romana dominato dalle interiora tra coda alla vaccinara, coratella e sugo alla pajata ovvero l’intestino di vitella da latte.
ROMA, TRATTORIE E OSTERIE
Spesso la cucina migliore e verace si trova lontano dal cuore pulsante di Roma a parte pochissime eccezioni, servita a una cifra ragionevole e in ambienti piccoli e umili ma dove si mangia divinamente. Il nostro consiglio è di cercare le trattorie e le osterie nei quartieri popolari e di prenotare con anticipo.
Immersioneincucina ne ha testato parecchie, questa è la nostra top 5.
Da Enzo al 29 (via dei Vascellari, 29) segnalato dal Gambero Rosso e dalla guida delle osterie Slow Food. Uno dei pochi locali non turistici a Trastevere. Trattoria all’insegna della più verace e schietta tradizione romana. Buonissimi i carciofi alla guidia e le chicche di formaggi tradizionali laziali di pecora, difficili da trovare. Non prende prenotazioni, il consiglio è di presentarsi direttamente sul luogo un po prima dell’orario di apertura e mettersi in fila, ne vale veramente la pena.
Sora Lella (via di Ponte Quattro capi, 1),è una vera è propria istituzione a Roma nell’ambito gastronomico. Nel cuore dell’isola tiberina . Cucina della tradizione, che negli ultimi anni ha saputo rivisitarsi e alleggersi ma sempre nel rispetto della tradizione romana e regionale
Armando al Pantheon(salita de Crescenzi, 31) , segnalato dalla Guida Michelin, dal Gambero Rosso e dalla guida delle osterie Slow Food. In una dei vicoletti che porta allo spettacolare tempio dell’ antica Roma E’ uno dei pochi luoghi del centro dove si può andare a colpo sicuro, con la certezza assoluta di trovare una cucina tradizionale di livello sempre alto, una scelta di vini assai curata e una vista imperdibile.
da Felice Testaccio (via Maestro Giorgio 29), segnalato dalla Guida Michelin e dal Gambero Rosso. Un concentrato di romanità, tappa fondamentale nella Capitale per gli amanti della buona cucina. Il locale è situato nel quartiere popolare di Testaccio. Imperdibile la cacio e pepe di questo locale, mantecata al tavolo. Un vero e proprio spettacolo per gli occhi oltre che per la pancia.
Hostería da Gigetto(Via del Portico D’Ottavia 21/a-22), in pieno quartiere ebraico. Vera osteria che dal 1923 si è specializzata nella cucina giudaica-romanesca.
ROMA, REGINA DEL MANGIARE DI STRADA
Roma gastronomica, il supplì classico.
Tra i romani lo street food spopola. La popolazione ha sposato questa modalità di cibarsi da secoli, fin dall’antica Roma come testimoniano i ritrovi archeologici delle tabernea – le rosticcerie attuali- e i molti scrittori dell’epoca.
La massima espressione del cibo di strada capitolino è la pizza al taglio, lavorata come il pane, croccante e salata. Buonissima! Diventa occasione di spuntini ad ogni ora, per una merenda golosa, un pranzo veloce o una cena conviviale con gli amici.Le più classiche sono la pizza bianca, quella ricoperta di patate al forno e rosmarino e quella ripiena con la mortadella.
Lo street food non si limita alla pizza, spesso nelle rosticerie, friggitorie, panifici e locali specializzati si trova anche degli strepitosi supplì: una ghiotta polpetta di riso con sugo di carne e al centro un cuore di mozzarella filante simile all’arancino siciliano. Oltre al classico spesso si possono trovare anche le varianti alla salsa amatriciana, alla carbonara e cacio e pepe.
E’ impressionante la densità di locali che si dedicano a questa attività. Noi ne abbiamo testati e scelti alcuni per voi.
Sangiò antico forno ristorante pizzeria (piazza di San Giovanni in Laterano, 32), perfetta sosta dopo aver visitato la basilica papale San Giovanni in Laterano, ammirato il palazzo Lateranense sede degli affari vaticani e la Scala Santa. Questo locale visto da fuori è anonimo ma ha uno gioiello nascosto, un antico forno a legna da il quale viene sfornata una pizza al taglio sublime.
Antico Forno Roscioli (via dei Chiavari, 34), a circa 5 minuti a piedi da piazza Navona perdendosi negli affascinanti vicoli del centro storico. Questo panificio storico di Roma confeziona pizza al taglio (e non solo) favolosa. Vale in tempo della coda e il mangiare in piedi ai tavolini.
Checco er carrettiere (via Benedetta,10) ,nel cuore del popolare e bohemian quartiere di Trastevere. Locale a metà tra trattoria e bar aperitivi ma la vera chicca è lo spazio take way dello stesso che fa supplì divini!
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Vi siete mai chiesti cosa mangiavano nell’Antico Egitto? Quali erano le usanze e i prodotti consumati dalla popolazione? Andiamo tra le piege della storia a scoprirlo!
LA BASE DELL’ALIMENTAZIONE EGIZIA, IL PANE.
La principale attività economica dell’antico Egitto era la coltivazione dei cereali, favorita dalle annuali inondazioni del Nilo. Per questo la base della cucina egizia era costituita dal pane. Sebbene nelle classi più agiate si consumasse una maggiore varietà e una maggiore quantità di cibi.
Antico Egitto a tavola, il pane elemento base della alimentazione egizia.
Si facevano diversi tipi di pane, si utilizzavano per la preparazione cereali quali l’orzo -il più diffuso- il frumento -riservato alle classi più abbienti- il farro, la spelta, il panico, il sorgo e i legumi ridotti in polvere.
Il lievito era sconoscito al popolo egizio e usavano al posto di questo l’avanzo della pasta del giorno precedente. Il pane veniva cotto nei forni di argilla o su lastre di pietra roventi.
LE BEVANDE NELL’ANTICO EGITTO.
La bevanda più economica e diffusa era indubbiamente l’acqua del Nilo.
La birra veniva ottenuta dalla fermentazione di pani d’orzo semicotti, imbevuti di liquore di datteri o vino di palma, lasciati poi a fermentare e successivamente filtrati attraverso un setaccio. Era una birra non molto alcolica che veniva conservata in giare accuratamente tappate. Questo prodotto veniva chiamato anche pane liquido e aveva un valore particolare, tanto da essere utilizzato ome moneta di scambio.
Gli egizi onoscevano anche il vino ma era una bevanda molto meno diffusa della birra, consumato prevalentemente dalle élite .
Antico Egitto a tavola, l’uva da vino.
CONDIMENTI PER LA CUCINA
Il merhet, il grasso vegetale era molto diffuso nell’alimentazione dell’antico egitto come fondo di cottura. L’ olio d’oliva si consumava raramente, per il condimento e la frittura dei cibi si preferiva l’olio di bak (un olio tratto dalla noce di moringa) ma anche l’olio di semi di sesamo, di lino, di ricino o di ravanello.
Sul versante dei grassi animali, conosiuti con il nome adkh, gli egizi conoscevano e usavano il burro o il grasso d’oca.
Altri condimenti per la cucina erano il sale e alcune erbe aromatiche, come il ginepro, l’anice, il coriandolo, il cumino, il prezzemolo e il finocchio mentre il pepe non era conosciuto perché fu importato solo in epoca romana.
IL CONSUMO DI CARNE E PESCE NELLA DIETA EGIZIA
Per quanto riguarda l’apporto proteico della dieta dell’antico Egitto si allevavano sopratutto pecore e capre che venivano usate anche per la produzione di latte e formaggio. Il pollo era sconosciuto tra gli egizi. Mentre il bovino era considerato un animale sacro, questo animale era esclusivamente utilizzato nel lavoro nei campi a scopo agricolo. Il maiale era considerato un animale dalle carni impure ma tra la popolazione condadina consumato abitualmente.
Antico Egitto a tavola, la caccia.
Molto praticata era la caccia ai volatili che venivano consumati soprattutto delle famiglie dei ceti più bassi: si trattava soprattutto di piccioni, anatre, oche, gru e vari tipi di uccelli acquatici che venivano cucinati prevalentemente arrostendoli sul fuoco e infilzandoli sugli spiedi. Gli antichi egiziani preferivano la carne lessata a quella arrostita. Con la carne lessata potevano infatti preparare gustosi pasticci.
Il Nilo era molto pescoso all’epoca e offriva diverse qualità di pesce. Questo era il cibo più comune per chi non poteva permettersi quotidianamente la carne anche se la popolazione, cuoriosamente, preferiva di gran lunga la carne. I pesci, dopo la cattura, venivano aperti, puliti dalle interiora, appesi a seccare e infine posti sotto sale dentro grandi giare per la conservazione. Il pesce fresco era di solito arrostito o lessato. Dalle uova dei muggini si ricavava anche una specie di bottarga.
Bisogna ricordare che nella religione egizia molte divinità avevano l’aspetto di animali, nelle località dove veniva praticato il culto di queste divinità antropomorfe, era vietato il consumo di alcuni animali come cibo.
FRUTTA E VERDURA
Una parte importante dell’alimentazione era costituita dalla frutta, verdura e legumi.
Nei diffusissimi frutteti venivano coltivati il melograno, il fico, il tamarindo, l’anguria o cocomero, il melone e le palme da dattero. In partiolare i frutti di quest’ultima pianta venivano consumati freschi, essiccati o spremuti e fatti fermentare ottendendo il cosidetto vino da palma. Un succo liquoroso che veniva consumato da solo o aggiunto alla birra per aromatizzarla.
Molto apprezzata e raccolta era anche la frutta selvatica come le giuggiole, simili alle ciliegie, e le noci di palma dum mentre negli orti, anch’essi molto diffusi, si coltivavano numerose varietà di verdure, tra le quali aglio, sedano, cetrioli, cipolle, porri e soprattutto venivano coltivati ceci, fave e lenticchie, che erano elemento quotidiano dell’alimentazione degli antichi egiziani.
ANTICO EGITTO, TRE PASTI AL GIORNO
Nelle classi più agiate era usanza consumare tre pasti al giorno. La prima colazione era costituita da fave cotte e condite con olio e limone. A mezzoggiorno si consumava il pane con la carne oppure legumi e della frutta mentre la cena rappresentava il pasto principale.
Nell’ultimo pasto del giorno, il menù non cambiava molto rispetto al pranzo ma si consumava in famiglia, seduti in giardino o sotto una tenda.
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Oggi vi vogliamo parlare, il filone storico del nostro blog, Martino da Como o Martino De Rossi conosciuto per lo più come Mastro Martino. Un cuoco medievale poco conosciuto eppure da considerare un vero rivoluzionario tanto da essere considerato il Leonardo Da Vinci nel campo culinario.
L’estro del Maestro ha avuto modo di svilupparsi in particolare presso la corte vaticana, è qui che il cuoco venne apprezzato e dove ottenne i primi successi.
Questo personaggio, nato nell’odierno Canton Ticino, è vissuto nel XV secolo al servizio di cardinali e duchi italiani ed è arrivato fino ai giorni nostri soprattutto grazie allo scritto del così detto Platina -al secolo Bartolomeo Scacchi– : De honesta voluptade et valetudine datato 1468.
Manoscritto di Bartolomeo Scacchi, primo sostenitore di Mastro Martino.
MASTRO MARTINO IN DE HONESTA VOLUPTADE ET VALITUDINE DI PLATINA.
Quest’opera coniuga il genio nel preparare pietanze di Mastro Martino con la forza divulgatrice del latino, lingua comune per lunghi secoli nelle corti d’Europa, ben 240 ricette delle 250 contenute dello scritto sono di Martino.
L’intento dell’autore è contrastare la demonizzazione del piacere, in particolare il piacere del cibo che allora come in parte oggi veniva visto come disdicevole. Un piacere del cibo inteso come giusto e sano, che appaga i sensi dell’essere umano senza danneggiare il corpo.
IL RICETTARIO DI MASTRO MARTINO, LIBRO DE ARTE COQUINARIA.
Oltre l’opera di Platina Maestro Martino pubblica un suo libro di cucina intitolato Libro de Arte Coquinaria, composto negli anni 1450-1467,quando il cuoco era al servizio del potente cardinale e condottiero cardinal Trevisan.
Quest’opera è una vero è proprio caposaldo della gastronomia italiana, pensato per essere capito da una larga platea di persone e di uso quotidiano infatti scritta in lingua volgare, dove il Maestro indica per ogni ricetta i recipienti da usare per la preparazione e i tempi di cottura in chiave molto moderna.
Del manoscritto di Maestro Martino, considerato la testimonianza più importante del passaggio tra la cucina medievale a quella rinascimentale, ne esistono solo 4 esemplari al mondo, due negli Stati Uniti e due in Italia di cui uno è conservato presso la biblioteca vaticana.
Platina e Maestro Martino condividevano l’idea di una cucina che risaltasse il sapore delle materie prime e le valorizzazione del cibo del territorio, in controtendenza con la tradizione gastronomia medievale che esaltava le materie prime esotiche e faceva uso abbondante di spezie. Dei veri e propri precursori della filosofia Slow.
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